Gli idiomi calpestati dallo Stivale

Artìculu de s'Unione
Artìculu de s’Unione

E’ dimenticata, ignorata, temuta. Della Carta Europea delle Lingue Regionali e minoritarie in Italia non si parla. Nell’assemblea nazionale francese un tempo riottosa invece il primo voto è di due giorni fa: 361 deputati a favore e 146 contro. La volontà di approvare il trattato che obbliga gli stati membri a tutelare le minoranze interne, c’è.  Si aspetta dal 1992: a tutt’oggi su 47 stati del Consiglio d’Europa solo 33 l’hanno firmato e 25 ratificato. Hollande, del resto, aveva promesso nonostante la tutela delle lingue regionali collidesse con la Costituzione. Lì il francese è previsto quale unica lingua nazionale. Il modello giacobino era egalitario. Ma egalitésignificava uguali in tutto, omologati anche nella lingua. Senza differenze che indebolissero lo Stato. Da allora il ruolo delle lingue ufficiali in Europa è cambiato. Le lingue letterarie e dialettali sono state standardizzate e sono diventate la base del funzionamento delle macchine statali. Si è passati dall’artigianato linguistico dei cancellieri di corte al fordismo alfabetico delle scuole di massa. Gli idiomi  moderni statalizzati si sono presentati al post moderno in posizione di vantaggio e affrontando meglio delle lingue regionali le nuove sfide. Lo strappo francese lascia gli altri in retroguardia. Ora tocca agli ultimi ostili: Grecia e Italia in testa. Mentre i nuovi stati che aderiscono all’Unione sono obbligati alla ratifica, ai fondatori viene lasciata la libertà di ignorare un diritto fondamentale. Con la Carta l’Italia prenderebbe seri impegni internazionali di tutela. L’ipocrisia giuridica però abbonda. La Repubblica ha approvato nel 1999 la farisaica legge 482 che riconosce 12 lingue territoriali, tra cui sardo, catalano di Alghero, occitano, friulano e altre. Negli anni tutti i tentativi di approvazione della Carta sono falliti. L’ultimo quello del governo Monti, il quale aveva sbagliato l’iter e tentato di sbilanciarne gli esiti a favore delle lingue minoritarie frontaliere contro le lingue considerate di serie B, tra cui la nostra. Insorsero i friulani, gli occitani del Piemonte, la Regione Autonoma della Sardegna e alcuni deputati e senatori sardi fecero la loro parte per fermare questo progetto. Alla pars destruens non è seguita, a Parlamento rinnovato, una pars construens accettabile. Un nuovo disegno di legge di ratifica della Carta, guardando a Parigi, potrebbe essere presentato, non tanto dal Governo, ma almeno dai parlamentari sardi. In questo modo, lo Stato italiano, formatosi nel mito e sulla traccia di quello sciovinista francese, si potrebbe impegnare a rispettare i livelli minimi di tutela oggi non assicurati. Con la vigilanza a quel punto obbligata del Consiglio d’Europa che potrebbe far valere per la Sardegna (se essa lo richiedesse) anche le prerogative della Convenzione quadro delle minoranze nazionali, testo di diritti civili dei popoli purtroppo ancora non esplorato dalla classe dirigente sarda. Giuseppe Corongiu (Direttore Servizio Lingua Sarda – RAS)   dae s’Unione Sarda de su 2 de freàrgiu de su 2014