Ha ormai compiuto 5 anni e sette mesi, subìto i più grandi attacchi da parte della carta stampata, è stata vittima di disinformazioni, interpretazioni negative, fraintendimenti che hanno condizionato l’opinione pubblica.
Questo convegno nazionale offre l’occasione per spiegare, più o meno dettagliatamente,
cosa siano le cosiddette Norme di riferimento a carattere sperimentale per la lingua scritta in uscita dell’Amministrazione regionale, conosciute dai più col nome di LIMBA SARDA COMUNA o con l’acronimo LSC.
Cos’è la LSC?
Si tratta, come già anticipato, di norme linguistiche di riferimento, per la lingua scritta dell’Amministrazione regionale, adottate sperimentalmente dalla Regione Autonoma della Sardegna con Delibera di Giunta Regionale n. 16/14 del 18 aprile 2006
1. Di riferimento perché, come tutti gli standard (“stendardo, bandiera”) ha l’obiettivo di rappresentare ed essere il punto di riferimento di tutte le varietà parlate della lingua sarda, di essere sovracomunale e semplice. In poche parole, ribadendo il concetto-metafora standard = stendardo: nessuno dei Comuni sardi rinuncia al suo gonfalone, pur riconoscendosi nell’unica bandiera sarda esistente, che li rappresenta simbolicamente tutti;
2. Sperimentale, perché si tratta di un cantiere aperto, specie in ambito morfosintattico, aperto alle proposte e ad eventuali modifiche. Nella delibera, a chiare lettere, si parla di intraprendere la sperimentazione al fine di raccogliere le opportune integrazioni, modificazioni e arricchimenti e di approfondire con ulteriori studi il lessico, la morfologia e un’ortografia comune a più varietà;
3. Scritta, e non parlata! Secondo la notoria differenza tra codice parlato e scritto!
A chi e a cosa serve la LSC?
Serve alla politica sarda per applicare le leggi linguistiche con le quali lo Stato italiano riconosce il sardo quale minoranza linguistica.
Quando si parla di provvedimenti per la lingua sarda, da un punto di vista amministrativo, è doveroso il riferimento alla Legge n. 482 del 1999, laddove si dice, fra le altre cose, all’art. 2 “in attuazione dell’articolo 6 della Costituzione e in armonia con i princípi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, la Repubblica tutela (…) il sardo”. Ovvero la lingua considerata nella sua unità, come sistema linguistico a sé stante, fatto di varietà orali ben articolate nel territorio, come ricordato nel comma 4 dell’art. 2 della LR n. 26 del 1997 “(…) la medesima valenza attribuita alla cultura ed alla lingua sarda è riconosciuta con riferimento al territorio interessato”.
Senza uno standard infatti, una lingua di minoranza, non esiste: rimane solo una polverizzazione dialettale che non ha dignità di lingua. La LSC è necessaria anche a s’Ufìtziu Regionale de sa limba che si dota di un sistema di riferimento per la comunicazione istituzionale, sia essa amministrativa che puramente informativa, in “uscita”. Avere uno standard unico significa dotarsi di uno strumento sicuro ed affidabile, con glossari consultabili, dizionari, linguaggi settoriali, grammatiche normative, correttori ortografici, etc. Con notevole risparmio economico specie in ambito editoriale, oltre che di grande efficacia nella comunicazione.
Questo standard, con una norma linguistica ed ortografica unica, e grazie ad interventi di “industria” della lingua e di terminologia (insieme ad una politica linguistica vera che promuova la diffusione e la presenza del sardo in tutti gli ambiti della società, pubblici e privati) può diventare un modo efficace per salvare la lingua sarda dal pericolo di estinzione.
È vero che la LSC è più “logudorese”?
Innanzitutto c’è da chiarire prima che cosa si intenda per “logudorese”. Non è certo un concetto geografico, visto che nelle cartine il cosiddetto “Logudoro” è georeferenziato in maniera piuttosto aleatoria (non ha confini precisi e non si sa dove inizi e finisca esattamente); non è nemmeno una subregione amministrativa (al suo posto troviamo Montacuto, Romangia, Anglona, Meilogu, Goceano etc.) ma molti si ostinano, più per sentito dire e per convenzione che con cognizione linguistica, ad affermare che è il “logudorese” si parla ad Ozieri, a Bonorva, ad Ittiri. Eppure, tra questi paesi, da un punto di vista linguistico, le differenze ci sono eccome. Per la parola “carbone”, per esempio, possiamo sentire cavone, calvone, cajvone. Per dire “sembro” parzo, pazo, palzo, palfo, pafo, mentre in LSC abbiamo carbone e pàrgio! Insomma, anche il concetto di “logudorese” è il frutto di un’astrazione degli scrittori, con la volontà di mediare le differenze reali. Non esiste, insomma, una lingua che possa dirsi “logudorese”. Per giunta, molte scelte grafiche della LSC, paradossalmente, si allontanano da quelle ritenute “logudoresi”, avvicinandosi maggiormente ad esiti meridionali, dato che le scelte grafiche corrispondono ad esiti di mediazione, realmente esistenti: si pensi a prus (meridionale prus) VS pius; ogru (meridionale ogu) VS oju; crae (meridionale crai) VS giae/jae; pratza (meridionale pratza) VS piata; gràndine (meridionale gràndini), VS ràndine etc.
È vero che la LSC è una lingua artificiale?
Per definizione glottologica i grafemi, ovvero i simboli che utilizziamo per scrivere i suoni di una lingua, sono sempre “arbitrari e convenzionali”. La LSC propone regole grafiche e nell’ambito dello scritto è normalissima una certa arbitrarietà e convenzionalità, in poche parole l’essere “artificiale”. In italiano scriviamo “la casa”, arbitrariamente e convenzionalmente, eppure al nord, in base alla pronuncia sarebbe “più giusto” scrivere *la caza (la “esse” è più sonora); in toscana *la ‘assa (con la consueta aspirazione iniziale, e “esse” più sorda); al centro e al sud *la gasa, secondo la loro pronuncia reale (con la consueta sonorizzazione della velare tra vocali).
La LSC è burocratica, colma di italianismi, incomprensibile?
Chi dà questa definizione dimostra:
1) di aver letto solo traduzioni in LSC di testi giuridico-amministrativi;
2) di ignorare i meccanismi terminologici che regolano il sistema linguistico del sardo.
Le traduzioni giuridico-amministrative sono colme di tecnoletti, ovvero di parole ed espressioni proprie dei singoli linguaggi tecnici e settoriali. Scelte lessicali che non possono essere polisemiche, come quelle di un testo letterario, ma che devono essere fatte attenendosi scrupolosamente al testo da tradurre, per non insinuare il minimo dubbio interpretativo. Se una legge, una delibera, uno statuto sono scritti in burocratese, la traduzione, sia essa in sardo o in qualsiasi altra lingua, non può che risultare altrettanto “burocratese”. S’Ufìtziu regionale de sa limba ha collaudato la LSC anche in numerosi testi di carattere divulgativo-scientifico, secondo processi terminologici ponderati, ovvero distinguendo il lessico patrimoniale dalle interferenze dell’italiano (fradile e non *cuginu; cabudanni e non *setembre; cùidu “gomito” nel senso anatomico; ma gòmitu “gomito idraulico”); valorizzando i geosinonimi (abbaidare, pompiare, castiare per “vedere”); accettando i cultismi e gli internazionalismi, evitando coniazioni opinabili e neologismi improbabili: anàlisi che sembra un italianismo, in realtà è un grecismo entrato ovunque (inglese analysis, tedesco Analyse, spagnolo análisis, francese analyse, olandese analysis, portoghese análise) che non può essere sostituito, in sardo, per differenzialismo, da un opinabile *compudu, perché lo dimostra la metodologia terminologica internazionale.
È vero che nessuno parla la LSC?
Essendo la LSC, per definizione, una norma scritta, è logico che nessuno la parli.
Paradossalmente però, anche se qualcuno la parlasse, ovvero la leggesse “all’italiana”, cioè dando un suono ai segni rappresentati secondo il modello imparato a scuola per l’italiano, le parole pronunciate corrisponderebbero a reali pronunce di varietà del sardo. Uno studio scientifico del 2007, condotto dal Prof. Bolognesi sulla base di ricerche dialettometriche e di linguistica computazionale, ha dimostrato che i modelli lessicali adottati nella LSC, corrispondono,per il 92,8%, alla varietà parlata ad Abbasanta, ovvero ad una varietà naturale. Sintetizzando: ogni parola scritta in LSC, se pronunciata secondo le regole di trasposizione scritto parlato insegnate per l’italiano, rimanda a pronunce esistenti in sardo! E tutti in Sardegna, la capirebbero, vedendola rappresentata graficamente.
Usando la LSC, si rinuncia alla propria varietà?
Le tante varietà locali, che costituiscono la ricchezza della lingua sarda, hanno una maggioranza di elementi comuni che dimostrano l’unicità della nostra lingua.
Citando testualmente il testo dell’allegato alla delibera di Giunta Regionale n. 16/14 del 18 aprile 2006, possiamo leggere: “l’oralità nel contatto con gli uffici è fatta salva in ogni varietà della lingua; (…)Fermo restando che intende valorizzare, valorizza e sostiene tutte le varietà linguistiche parlate e scritte in uso altri Enti o Amministrazioni pubbliche della Sardegna saranno liberi di utilizzare le presenti norme di riferimento oppure di fare in piena autonomia le scelte che riterranno opportune.
(…) La Limba Sarda Comuna intende rappresentare una “lingua bandiera”, uno strumento per potenziare la nostra identità collettiva, nel rispetto della multiforme ricchezza delle varietà locali”. La varietà locale è una fucina attiva da cui attingere per la codificazione di uno standard unico. La LSC non vuole né sostituirsi né imporsi sugli altri idiomi della Sardegna, anzi riconosce loro lo stesso livello di tutela e promozione.
Scrivendo in LSC, annullo e dimentico le parlate locali ?
Finché la parlata locale sarà garantita da una regolare trasmissione intergenerazionale, non correrà nessun pericolo. Lo standard scritto, in virtù di relazioni e scambi biunivoci con le singole varietà locali e di regole flessibili di pronuncia, può essere adattato a tutte le particolarità del parlato: ad esempio la scrittura figiu “figlio” potrebbe essere letta secondo le abitudini locali, ovvero fizu, itzu, fixu, fìlgiu, fìgliu, fillu etc.. Si dovrà fare, insomma, come si fa per l’inglese e il francese e per altre lingue straniere: scrivere in un modo e leggere in un altro. Ma nel caso malaugurato che in un determinato paese non sia più garantita la pronuncia locale e si leggesse fìgiu, così come è scritto, si garantirebbe comunque una forma di sardo reale, esistente, non inventata. La scrittura ufficiale, poi, non impedisce l’uso di scritture locali, dove parlato e scritto cercano di combaciare il più possibile. Ha però un vantaggio grandissimo rispetto alla babele grafica che ne deriverebbe: la massima circolazione e diffusione.
La LSC è pericolosa per il sardo?
Il vero pericolo per la lingua sarda non può essere certo uno standard di riferimento che si nutre di tutte le varietà, rappresentandole e difendendole al contempo, ma piuttosto l’italiano che ormai, considerata la sua forza comunicativa in tutti gli ambiti d’uso, ha minato la sopravvivenza stessa del sardo.
Tutti sappiamo come si sia ridotta notevolmente la trasmissione intergenerazionale del sardo e dove sia localizzata (Baronie, Goceano, zone della Barbagia, escluso – paradossalmente – Nuoro). L’obiettivo non è eliminare l’italiano, ma garantire un vero bilinguismo, o meglio, un plurilinguismo con la promozione e la salvaguardia della lingua materna ed identitaria.
È vero che nessuno utilizza la LSC?
Le norme linguistiche di riferimento, come già detto, sono necessarie innanzitutto per la lingua scritta dell’Amministrazione regionale.
Con queste regole, il Servizio Lingua Sarda ha fatto traduzioni giuridico-amministrative, ha curato testi scientifico-divulgativi, materiale promozionale, redatto repertori terminologici e lineamenti grammaticali, tutti consultabili nel sito internet istituzionale. Da un monitoraggio condotto dall’Ufìtziu de sa Limba sarda regionale, a sèguito dell’analisi della documentazione prodotta dagli sportelli linguistici comunali, finanziati ai sensi della L. 482/1999, emergono anche i dati sull’uso dello standard negli enti locali: ben 87, nel 2009, lo ha utilizzato insieme alla varietà locale. E non sono mancate nemmeno le richieste di consulenza al Servizio Lingua Sarda regionale, da parte di organismi privati e pubblici, per poter utilizzare al meglio la LSC, nella loro comunicazione ufficiale.
La lingua più diffusa in Sardegna è il “campidanese”?
Non è stato mai condotto uno studio scientifico volto a quantificare i parlanti di una determinata varietà. Non basta contare gli abitanti delle province campidanesi (quali e quante?) per ottenere il risultato, perché in quel territorio è nota la presenza di parlanti altre varietà, per via della migrazione interna.
Il cosiddetto “campidanese”, poi, così come il succitato “logudorese”, è un’astrazione letteraria, ovvero una scelta altrettanto arbitraria e convenzionale per rappresentare varietà con tante differenze. C’è da aggiungere anche che le regole del cosiddetto “campidanese standard” mettono in pratica, in piccolo, le stesse scelte che richiederebbe uno standard unico per tutta la Sardegna.
Ecco che un sulcitano che dice pècia “carne” dovrebbe adeguarsi al modello scritto petza, uno della Marmilla vedrebbe il suo otu “orto” (così come richiede la sua pronuncia) trasformato in ortu, secondo le regole della scrittura etimologica; e un ogliastrino, che utilizza us/as per gli articoli plurali, dovrebbe conformarsi alla forma promiscua is.
Come già precisato, anche da un punto di vista giuridico, non esiste questa presunta dicotomia “logudorese”, “campidanese”. Sia la L 482/1999 che la LR 26/1997 parlano di “sardo” e “lingua sarda”. Non c’è altro riferimento normativo che autorizzi eventuali azioni di politica linguistica per il “logudorese” o il “campidanese” (o l’ogliastrino, il sulcitano, il barbaricino e chi più ne ha più ne metta). Si parla unicamente di sardo, inteso nella sua unità, la stessa a cui si ispirano le scelte della LSC.
In Sardegna non si parla più sardo e non si vuole uno standard?
Una recente indagine sociolinguistica, dal titolo Le lingue dei sardi condotta nel 2007, a cura della Prof.ssa Oppo, ha fatto emergere un dato incoraggiante: il 68,4 % degli intervistati ha dichiarato di conoscere una varietà locale. Emblematica anche la risposta alla domanda n. 148, che chiedeva: «Fermo restando l’impegno per la valorizzazione di tutte le parlate locali utilizzate in Sardegna, sarebbe favorevole all’ipotesi che la Regione, per la pubblicazione di propri documenti, usasse una forma scritta unica del sardo, anche in applicazione delle leggi sulla tutela della minoranze linguistiche?».
Risposte: favorevoli (del tutto/ parzialmente) = 57,7% del totale assoluto; contrari (del tutto/ parzialmente) = 39,2%. Per concludere con la domanda n. 149: «Preferirebbe che venisse scelta una delle parlate esistenti o una forma di compromesso tra di esse?». Risposte: 1) una delle parlate esistenti = 59,5 %; 2) una forma di compromesso = 33,9%; 3) non so/non rispondo = 6,6%. Sintetizzando: una buona maggioranza di sardi conosce la lingua ed è d’accordo per una forma scritta unica, sia ispirandosi ad una delle parlate esistenti, sia utilizzando una forma di compromesso: caratteristiche, entrambe, possedute dalla LSC, come già osservato.
Due standard linguistici sono meglio di uno?
Uno standard scritto di riferimento è una scelta politica volta ad ottenere una lingua “tetto” ufficiale per il territorio sardofono.
Quanto più è universale la scrittura, tanto più si arriva ad un pubblico più vasto. Se uno standard scritto non riesce a rappresentare tutte le varietà del sardo, neanche due standard e nemmeno due norme potranno riuscire nell’intento. L’obiettivo è passare dalla divergenza alla convergenza, secondo un modello politico di unità. Utilizzando due standard (o uno standard con due norme), seguendo due varietà letterarie con un’ortografia non ancora chiara, la Sardegna risulterebbe divisa in due, da un punto di vista linguistico, e quindi non potrebbe attuarsi alcuna politica linguistica unitaria.
Coloro che sono contrari ad uno standard unico sostengono che un’operazione siffatta eliminerebbe le varietà dei paesi. Ed è curioso osservare che coloro che sono a favore della soluzione binomica (doppio standard, o uno standard a 2 norme) non considerano e non ammettono che, essi stessi, per arrivare a queste due “lingue”, eliminano le varietà interne a ciascuna di esse. La LSC propone una soluzione sovramunicipale, norme scritte di riferimento frutto di una mediazione fra tutte le parlate, privilegiando gli elementi di convergenza e sistematicità tra le varietà, gli elementi comuni a tutto l’insieme del sardo.
Se l’alternativa allo standard unico, scelto per ragioni politiche di unitarietà, è il doppio standard, allora perché non tre, quattro, dieci, cento, trecentosettantasette standard, tanti quanti sono i comuni isolani?
Algheresi, galluresi, turritani e tabarchini non si riconoscono nella LSC?
C’è da chiarire, prima di tutto, un concetto fondamentale: sia il gallurese che il turritano (sassarese, sorsese, portotorrese) non sono varietà di sardo a cui possa riferirsi la LSC, ma varietà alloglotte, ovvero sistemi linguistici a se stanti, con derivazioni differenti rispetto alla lingua sarda. La Legge regionale n. 26 del 1997 ha posto le basi giuridiche per la valorizzazione e promozione della lingua sarda e pari valorizzazione e promozione riconosce, nei territori rispettivi, anche ad algherese, sassarese, gallurese e tabarchino, per cui ciascuno di questi idiomi potrà dotarsi o già si è dotato di norme linguistiche di riferimento che garantiscono una loro più efficace presenza ufficiale nei media, dell’amministrazione, nella scuola.
Il bambino che impara la lingua sarda avrà problemi con l’italiano e le altre lingue?
In una serie di studi condotti in Canada, Scozia, India e Cina, vari psicologi hanno dimostrato che gli individui che parlano due lingue native e che usano entrambe queste lingue regolarmente sono più abili dei monolingui in una serie di test che misurano l’abilità di operare in presenza di distrazioni. I ricercatori hanno ipotizzato che la necessità di dover tenere due lingue in simultanea nel proprio cervello stimola le capacità organizzative della mente, producendo un’abilità maggiore nell’esecuzione di compiti complessi. Una seconda ipotesi riguarderebbe invece la memoria di lavoro, che sarebbe più sviluppata nei soggetti bilingue, permettendo loro di registrare ed elaborare informazioni in maniera maggiore. E considerato che il 78,6% dei sardi è favorevole all’insegnamento del sardo a scuola, questi risultati scientifici non possono che amplificare questa volontà.
Cristiano Becciu
dae unu cunvegnu natzionale de su 26 e 27 de santugaine de su 2011