Sul Piano triennale della lingua sarda

Sul Piano triennale della lingua sarda

Non si rende conto il Rettore Attilio Mastino che, nel firmare il documento “Osservazioni sul Piano triennale…”, sta avvallando un’azione politica compiuta dall’Università, che egli regge e rappresenta, di discredito dell’operato della Giunta sarda in materia di politica linguistica? A questo proposito, l’Università avrebbe potuto, più opportunamente, espletare la sua funzione interlocutoria, elaborativa o critica dentro l’Osservatorio regionale per la cultura e la lingua sardi, di cui è parte. Ma non lo ha fatto né lo fa. Si ricordi che tale organismo propone indirizzi generali per il perseguimento degli obiettivi di cui all’articolo 1 della Legge 26 e valutazioni sull’attività svolta.

Non si capisce perché, invece, abbia scelto questa strada insidiosa di farlo pubblicamente, senza interloquire neppure all’interno dell’Osservatorio, sparando a zero su tutto e tutti.

È perciò evidente che si tratta di chiara ingerenza e del tentativo di ostacolare il corso dell’azione politica del Governo sardo e di giustificare la mancata risposta a una richiesta di collaborazione fatta dal Governo all’Università di Sassari. Fuori dai possibili ambiti previsti (uno di questi, l’Osservatorio) in cui sarebbe stato possibile criticare o modificare i criteri dei Piani triennali, peraltro già approvati anche dall’Università di Sassari e Cagliari, Lei sta avvallando questi tentativi di sovvertire decisioni e indirizzi consolidati!

Ci riferiamo alla richiesta della Ras (opportunamente e congruamente finanziata) perché la Università di Sassari organizzi ed espleti corsi di formazione per insegnanti in cui il sardo sia lingua veicolare in almeno il 50% delle ore di lezione, come condizione ineludibile. Nella fattispecie, la Ras si configura come il committente, la UniSS come esecutore di una prestazione formativa, verso la quale la UniSS può rispondere accettando o respingendo quanto proposto. O la RAS non può chiedere all’Università o altro ente di organizzare e svolgere corsi secondo protocolli da essa stabiliti? Altro che ingerenza nell’autonomia didattica nei normali corsi dell’Università, che non c’è e non può esserci, men che mai da parte della RAS.

È curioso osservare come il documento, ricorrendo alla disinformazione e al tentativo di intimidire scientificamente la controparte, la Ras, accusata di proporre linee didattiche e di politica linguistica vecchie e antidemocratiche, eluda la sostanza del contendere, ossia accettare o no di utilizzare il sardo veicolare nei corsi di formazione per insegnanti. In base a che cosa signor Rettore avvalla il tentativo di cambiare la volontà e le modalità previste, a torto o a ragione, dal committente, la RAS, peraltro già adottate nel Piano triennale per l’arco di tempo 2008/10.

Non sarebbe, invece, utile che l’Università di Sassari estenda i suoi interessi alla politica linguistica e alla standardizzazione delle lingue, che potrebbe essere di giovamento per tutti? Incomprensibile, dunque, che si sia lanciata contro la delibera RAS del 2007 che propone la norma sperimentale LSC nei documenti scritti, che non è imposta dai Piani triennali per i corsi di formazioni svolti dalle Università. Perché alimentare una finta guerra tra sardo da una parte e gallurese, tabarchino, algherese, sassarese dall’altra, quando invece tutti sappiamo che è la prepotente onnipresenza dell’italiano che ci mette tutti in pericolo? Perché tirare in ballo, in questo caso, una modalità di scrittura sperimentale come la LSC? I professori usino il sardo che pare loro più opportuno ma insegnino in sardo nella proporzione richiesta.

Abbiamo il timore che l’Università, così facendo, voglia spostare l’attenzione dal reale problema dal quale è afflitta, ossia la reale e quasi generale incapacità del suo corpo insegnante, così come è composto, di insegnare in sardo. Perché nasconderlo?

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