Sa fine de sa Lega? Nos batit bona sorte

Tante volte, nel discutere di cose sarde con persone normalmente disinformate sui nostri affari (cioè il 99,9% dei Continentali), ci si ritrova di fronte alla solita frase: “ma allora siete come i leghisti!”. Questo solo in Italia, perché altrove è chiaro che i nostri sono problemi condivisi da tantissime aree d’Europa in cui gli Stati nazionali si sono sviluppati negando la preesistente complessità etnica. Come ha sintetizzato in modo brillante Barbara Spinelli, se è vero che lo Stato nazionale ha comportato l’espandersi della cittadinanza a una serie di diritti sociali, e ha integrato nella politica parti della popolazione prima escluse, è pur vero che nella sua ossessione dei propri confini e dell’omogeneità interna ha generato una serie di fenomeni di purificazione, di esclusione e di aggressione che hanno reso il Novecento il secolo più sanguinoso, e sanguinario, della storia.

Solo in Italia, occorre ricordare il colonialismo e le sue orribili guerre in Libia e in Etiopia, il fascismo, il berlusconismo, le due devastanti Guerre Mondiali e la partecipazione alla Guerra di Crimea e, nel corso del processo unitario, il trattamento inflitto al Mezzogiorno e, come ha sottolineato Antonio Gramsci, alle classi popolari nel loro complesso. In risposta a questi suoi problemi costitutivi sono nati fenomeni sovrastatuali come l’Unione Europea, e nel contempo sono nati movimenti di limitazione dal basso dell’autorità dello Stato, e non solo di natura territoriale o legati alle etnicità, come il nostro.

La crisi del leghismo è una crisi di legittimità, ma anche una crisi del suo programma politico, che non ha ottenuto alcuno sbocco, nonostante la presenza costante nei governi. La corruzione dei suoi dirigenti, che era già nota ma è venuta fuori con clamore negli ultimi giorni, non deve far dimenticare che la Lega è stata campione del localismo proprio alle mille città della provincia italiana, soprattutto del Centro-Nord, cioè di un’area in cui si concentra la ricchezza del Paese, è stato in sintesi un movimento pre-statuale piuttosto che post-statuale, non a caso ostile all’Europa come nessun altro. È stata affetta da una persistente incapacità di offrire una leadership se non conservatrice e aggressiva, e da una certa, come dire, arretratezza culturale diffusa.

Rivendicativa, la Lega non ha saputo governare dimensioni più elevate di quella locale, a partire dalle Regioni, in cui ha fallito. Ha cercato di trapiantare in politica fenomeni come la folla aggressiva, per cui il suo programma più popolare non era cambiare lo Stato ma escludere le diversità. Le dimensioni larghe la hanno sempre atterrita, e la sua ossessione è stata l’apertura, il multiculturalismo e l’accettazione della diversità, in pratica la metropoli o la vita moderna. Mentre le esperienze più simili alla nostra, come quella catalana, quella scozzese, quella basca, nel loro mainstream, sono esperienze tutte antifasciste, repubblicane, aperte alle diversità, a partire dalla propria, e alla articolazione dei diritti, il cuore leghista da subito si è scagliato contro i “terroni” (ossessione primigenia), poi contro i “negri” e tutti gli immigrati, per finire con i gay. Insomma, il locus leghista è il bar della piazza di una città di provincia “fra la Pedemontana e il West”.

Mai il sardismo prima, e le altre forme di soberanismu e indipendentismo sardo dopo, sono cadute in questa trappola. Indubbiamente, le diverse posizioni nella gerarchia economica degli Stati di appartenenza influiscono, e esiste nel leghismo una fierezza degli schei e del successo economico che noi non abbiamo, ma che i catalani o i baschi potrebbero avere. Eppure i movimenti di contestazione agli Stati nazionali centralisti che si fanno forza della propria etnicità hanno avuto caratteri diversi. L’unico movimento analogo al leghismo, sotto questo profilo, è forse quello rappresentato dalla destra fiamminga in Belgio, che però è minoritaria rispetto allo spettro politico fiammingo.

Molto più simili alla Lega sono invece le “nuove” destre estreme, che al contrario hanno il loro baricentro nelle aree centrali degli Stati. E il Nord costituisce naturalmente il baricentro dell’Italia, molto più della sua capitale politica.

Al di là delle condizioni, sono interessanti i caratteri del leghismo. Non posso non pensare a un famoso discorso intercettato di Borghezio ad esponenti della destra neofascista francese, in cui egli proponeva il percorso leghista come modo strumentale di usare il tema dell’etnicità, con il solo fine di portare a destra l’asse politico. Così come non posso non pensare alla presenza nel leghismo di alcuni personaggi legati alla destra: nel leghismo è infatti forte l’opportunismo, l’antimodernismo, l’antiintellettualismo e l’antiurbanesimo, tutti temi classici della destra fascista o revanscista.

Quello che resterà di tutto questo è poco: del loro programma non sono riusciti a mettere in pratica nulla, perché forse non li interessava. Al contrario, hanno diffuso fra i ceti istruiti e maggiormente aperti il timore che l’opzione federalista o il riconoscimento dei limiti degli artificiosi Stati nazione esistenti fosse un opzione reazionaria o comunque gravida di conseguenze oscurantiste. Questo timore ha limitato la possibilità, per i sardi, di far valere le proprie istanze autonomistiche, federalistiche o soberanistas, e ha ridotto le possibilità di manovra per le nostre istanze. Questo, va detto, anche per la miopia politica di alcuni esponenti sardisti (rimasti sempre minoranza infima) che non hanno esitato a cercare alleanze leghiste nella vana speranza di, magari, lucrare un seggio in Parlamento.