Bastat sa Die de s'aciapa, mègius sa de sa limba

E se il 28 aprile, festa de Sa Die de Sa Sardigna, si trasformasse nella festa della lingua sarda? L’idea è dello studioso Roberto Bolognesi e a me piace molto. Bolognesi avanza la proposta nel suo blog, in due interessanti post dal titolo “Sa die de su sardu” e in “Eppure è semplice: chi la organizza Sa Die de Sa Limba?”.Leggiamo. “Eppure è semplice. Basta passare dalla celebrazione stanca di una giornata rituale che commemora una ribellione passeggera dei notabili cagliaritani a una giornata che celebri la nostra identità nel modo che più la caratterizza: sa limba nostra (is limbas nostras). (…)

Si tratta solo di uscire per strada e parlare in sardo con chiunque. Basta passarsi la parola tra amici. Basta che le associazioni e i movimenti identitari, nazionalisti, indipendentisti, democratici dicano ai loro aderenti: “Tocai, su 28 fueddaus in sardu cun totu sa genti chi agataus!”. Basta poco. Basta volerlo e il sardo uscirà dal ghetto”.

Andiamo per ordine.

Da anni Sa Die ha perso la sua forza propulsiva iniziale. Come mai? I motivi sono tanti. La festa ha spaventato soprattutto la politica, e penso a come è stata annacquata soprattutto negli anni dell’amministrazione Soru. L’attuale centrodestra poi l’ha stravolta (è riuscito perfino a dedicarla alla Brigata Sassari…) e ormai Sa Die per come i sardi l’avevano conosciuta e amata non esiste più.

Alla lunga, secondo me, ha inciso soprattutto la debolezza dell’evento storico preso a nobile pretesto per celebrare la nazione sarda. Sull’interpretazione di quei fatti gli avversari della festa si sono infatti esercitati fin dall’inizio in poco nobili dissertazioni para-scientifiche che in realtà non nascondevano altro che una contrarietà al senso della ricorrenza e un malcelato campanilismo.

All’affermazione “Abbiamo cacciato i piemontesi” era facile rispondere “Sì, ma poi sono tornati”. L’evento storico più che unire ha diviso, e da anni ormai Sa Die è esattamente quello che dice Bolognesi: la “celebrazione stanca di una giornata rituale”.

Su questo gli ideatori della manifestazione (penso soprattutto agli amici della Fondazione Sardinia) hanno il dovere di avviare una riflessione, perché o con una nuova mobilitazione Sa Die torna ad essere una vera festa, altrimenti ogni edizione celebrata in maniera così evanescente sarà solo un danno per i sentimenti che la ricorrenza dovrebbe suscitare.

Per questo che io ritengo che quella di Bolognesi sia un’ottima proposta: perché al significato di Sa Die come festa dell’orgoglio sardo si può unire tranquillamente la celebrazione di ciò che più intimamente ci appartiene: la nostra lingua.

Fare del 28 aprile Sa Die de su Sardu non costerebbe nulla e non avrebbe soprattutto quel portato ideologico che l’attuale festa si trascina. La Sardegna si celebrerebbe: così, semplicemente. Ed emergerebbe un’isola mosaico, dove ognuno porta la sua specificità all’interno di un contesto unitario. La festa delle differenze. E sarebbe una festa più facile da organizzare, più immediata, più vera, più utile.

La proposta di Bolognesi sta già animando il dibattito sul web. L’idea di trasformare Sa Die nella festa della lingua sarda non convince tutti, alcuni vorrebbero l’istituzione di una ricorrenza specifica (e vi segnalo sul blog di Gianfranco Pintore il post di Micheli Podda dal titolo “Pistande abba pista, torra, galu”).

Io mi chiedo però come si possa proporre l’istituzione di un’altra ricorrenza quando si è fatto morire di inedia la prima.

Del 28 aprile e della proposta di Bolognesi se ne deve parlare senza remore, partendo da un dato di fatto: Sa Die così com’è non serve a nulla, anzi è dannosa. O la si rilancia o la si cambia. E la proposta di trasformarla in Sa Die de su Sardu è un’ottima proposta. Che ne pensate?