Lingua Veicolare e formazione degli insegnanti

Lingua Veicolare e formazione degli insegnanti

Bisogna ricondurre a una giusta misura e soprattutto a una soluzione costruttiva la polemica sorta tra l’Università di Sassari e le direttive della politica regionale sulla lingua e cultura sarda. Ovviamente nel rispetto dell’autonomia della facoltà universitaria turritana e nel rispetto rigoroso delle disposizioni normative approvate ed emanate dall’Assessorato della Pubblica Istruzione. La direttiva è chiara: nella organizzazione dei corsi di formazione per insegnanti di lingua e cultura sarda, il sardo è lingua veicolare in almeno il 50% delle ore di lezione. Non si può venir meno a questa condizione posta dai protocolli approvati dalla RAS in materia di politica linguistica. Se l’Università di Sassari non condivide queste disposizioni ha diritto di rifiutare l’accordo e magari organizzare in proprio corsi secondo la propria visione metodologica e scientifica.

Non è corretto fare entrare nella questione specifica altri aspetti, magari importanti ma da discutere in un altro contesto, come il dibattito sulla limba sarda comuna o sulle altre varietà linguistiche minoritarie che hanno diritto ovviamente a una loro validità veicolare.
Nella polemica ci sono stati interventi di contrapposizione netta e aspra ma non bisogna scaricare queste tensioni sull’Assessorato e sul responsabile del Servizio di lingua e cultura sarda. Il dottor Giuseppe Corongiu ha dedicato con l’impegno e competenza molti anni per la valorizzazione della lingua sarda, nel suo ruolo specifico ha proposto progetti all’Assessore competente attuando fedelmente le delibere degli organi superiori. Il suo ruolo in Assessorato è stato ed è veramente prezioso per gli studi fatti e per la competenza anche amministrativa in materia di lingua, non vedo nel panorama attuale una persona di pari livello che possa sostituirlo in questo compito specifico.

Tuttavia la polemica ha risvolti positivi per approfondire alcuni aspetti particolari. Uno riguarda la competenza degli insegnanti universitari, bravissimi nelle loro discipline, ma a volte non del tutto padroni di un uso veicolare del sardo. Le soluzioni ci sono: intanto si prova e si fa esperienza, si acquisiscono gradualmente competenze e si approntano metodi didattici congrui. Là dove si avesse bisogno di contributi esterni non mancherebbero competenze relative a settori specifici. È solo questione di buona volontà. Se invece manca la convinzione della importanza di una valorizzazione de sa limba, allora scattano meccanismi difensivi che all’occasione diventano aggressivi e distruttivi. Si non si bi credet, sos contos non torrant.

La proporzione del 50% nell’uso del sardo veicolare mi sembra equilibrata perché c’è anche una cultura sarda parlata in italiano, tuttavia personalmente sarei favorevole a una percentuale più alta a favore della lingua sarda perché il compito di una politica linguistica è quella di diffondere il sardo nella scuola, in famiglia e nella comunicazione mass mediatica. In definitiva l’obiettivo è il bilinguismo: la Sardegna ha due lingue, il sardo e l’italiano, con pari dignità e pari opportunità di parola e di discorso.

Ma l’aspetto ancora più importante è quello relativo a una presunta incapacità della lingua sarda di rispondere realmente ai problemi e alla complessità del mondo contemporaneo. È una convinzione diffusa, nonostante, in linea di principio si sappia (e in qualche modo anche si accetti) che ogni lingua può parlare il proprio tempo. Forse, anche negli ambienti accademici, si risente eccessivamente delle affermazioni di Wagner circa i caratteri agropastorali della lingua sarda e dunque circa i suoi limiti nei processi di concettualizzazione e di astrazione. Si tratta di una convinzione assolutamente inaccettabile perché risponde a una concezione della lingua come vocabolario, come nomenclatura, che crede nel rapporto obbligato e necessario tra oggetto e nome secondo un naturalismo linguistico. In verità la lingua è nella infinita possibilità combinatoria delle parole, nella creazione metaforica e nei procedimenti metonimici. Riguardo a questa virtualità creativa il sardo ha già dimostrato la sua enorme capacità discorsiva.
Per quanto riguarda il lessico, che lo stesso Wagner ha riconosciuto essere ricchissimo, il vocabolario di Mario Puddu registra più di 100.000 lemmi, che aumenteranno significativamente in un prossimo aggiornamento. Ciascuna lingua arricchisce il proprio lessico con neologismi, prestiti, trasformazioni, invenzioni. La lingua non è un
deposito di parole, è un organismo in movimenti che sa nominare cose e fenomeni a mano a mano che si presentano.

Ma il discorso merita ben altre riflessioni e discussioni. Si tratta solo di convincersi, riguardo alla recente polemica, che il ruolo delle università sulla questione della lingua sarda, sulla sua valorizzazione e sulla metodologia d’insegnamento, è del tutto fondamentale. Proprio per questo ruolo e responsabilità occorre che le università sarde dedichino studi, dibattiti, incontri con la gente sul sardo come lingua viva e non solo come lingua morta.

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