Egemonia


Egemonia


Egemonia


Anni fa, prima che scoppiasse la “Guerra delle patate” e che Giorgio Melis mi bandisse dal suo sito, ho pubblicato su L’Altra Voce un articolo in cui sostenevo che in Sardegna era in corso una lotta per il potere culturale tra la vecchia élite intellettuale coloniale e la nuova élite sardofona. E in effetti, anche l’attacco condotto tre anni fa dalla Banda Agnelli contro di me era un episodio di quella guerra.

E anche quella che si sta svolgendo in questi mesi tra l’università di Sassari e la Regione Sardegna è una battaglia per l’egemonia culturale. I Sassaresi pretendono di essere remunerati dalla RAS per il solo fatto di esistere e di aver ricevuto direttamente dal potere coloniale l’investitura di Vicari della Cultura in Terra Sarda. I Sassaresi non intendono adeguarsi alle direttive del Piano Triennale per la lingua sarda 2008-2010, approvato dal Consiglio Regionale e accusano il Direttore dell’Ufficio di frustrare le loro “sacrosante” pretese di non impiegare il sardo come lingua veicolare nella metà dei corsi programmati.

Insomma, i Sassaresi pretendono di sostituirsi al Consiglio Regionale e di disporre a proprio piacimento dei nostri soldi. Nei verbali delle riunioni della COMMISSIONE DI ATENEO PER LE LINGUE E LE CULTURE DELLA SARDEGNA, DESIGNATA DAL SENATO ACCADEMICO (ADUNANZA DEL 17 MARZO 2010) pubblicati sul sito dell’università, possiamo leggere: “L’obiettivo ultimo, infatti, nell’opera di ridefinizione di un automodello forte, non potrà che essere quello di costruire una immagine dell’identità aperta e dinamica, dalla quale derivi l’energia vitale e morale di un nuovo modello di sviluppo economico e civile, in grado di rappresentare quella Sardegna che vive nell’intelligenza e nella creatività della sua gente e dei suoi artisti.”
C’è qualcuno che capisce cosa vuol dire questa sequenza di parole tanto tronfie quanto vuote? Ecco la Cultura che ci vogliono rifilare.

A me viene subito da pensare alla creatività a suo tempo dimostrata dai Sassaresi nell’aggiungere il sintagma “della Sardegna” al titolo di corsi che con la Sardegna non avevano nulla da spartire e appropriarsi di buona parte delle scarse risorse destinate al sardo per fare tutto meno che insegnare lingua e cultura sarda. Comunque, come risulta dai verbali, intendono anche riservarsi 10.000 (diecimila) euro per le pause caffé. Troppi, direi, visto che il caffé innervosice e poi durante gli incontri con i nostri interlocutori ci fa
tremare visibilmente le mani. Vogliono vivere di rendita vendendo aria fritta e bevendo caffé e poi si arrabbiano con chi non glielo permette. Andate pure a leggervi i verbali che hanno pubblicato (http://www.lefweb.uniss.it/download/public/news/files/742_verbali_16_commissione_cultura_sarda.pdf). Scoprirete che l’unica linguistica che propongono è quella che io da sempre definisco “linguistica delle caverne”: la linguistica storico-comparativa dell’Ottocento. Neanche un corso di linguistica sincronica, cioè sulle strutture
sintattiche, morfologiche e fonologiche, che poi sono quelle che devi conoscere se vuoi avere una competenza del sardo.

No, solo storia delle parole, cioè quella roba che non serve a conoscere la lingua, ma solo a stupire gli astanti con la tua erudizione. Ma non accaniamoci: l’università di Sassari con ha nemmeno un linguista in scuderia. Facciano quello che possono, ma almeno lo facciano in sardo. I loro corsi, se il sardo verrà usato come lingua veicolare serviranno almeno a sviluppare i registri alti e tecnici della lingua. Ma loro, questo non lo vogliono fare: “Evitare improvvisazioni e dilettantismi, potendo contare su uno staff di studiosi competenti e di formatori preparati, è dunque uno degli obiettivi principali del progetto, che vede anche nella collaterale attività di master un’occasione eccezionale per elaborare una “via sarda” al recupero dei patrimoni linguistici tradizionali, facendo tesoro di esperienze pregresse per approdare quanto più possibile a proposte realmente
innovative, valide per il territorio ma potenzialmente aperte al confronto con le altre esigenze di tutela e rivitalizzazione di patrimoni linguistici in sofferenza.”

Hanno avuto a disposizione anni per prepararsi, ma non l’hanno fatto.
Già nel 2008 l’Assessore Mongiu aveva messo in chiaro che gli anni dei soldi facili, ingozzati ai danni del sardo erano finiti. E adesso cercano di personalizzare, attaccando il direttore dell’ufficio per la lingua, la loro lotta contro il parlamento sardo che esige che i soldi che vengono loro elargiti se li guadagnino eseguendo il lavoro che quei soldi devono ricompensare.

Adesso dicono che in sardo non si può parlare di scienza, solo perché loro non lo sanno fare e non si sono mai degnati di imparare a farlo. A proposito, sabato scorso ho tenuto un seminario di fonologia interamente in sardo. Ovviamente mi ci sono voluti anni per arrivarci. Ecco allora lo scontro tra culture: la cultura della rendita parassitaria (“Mi devi pagare perché occupo questa posizione”) contro la cultura dei Sardi che vogliono emanciparsi dalla loro subordinazione politica, economica e, appunto, culturale.

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